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La mia vita… su FB, Messenger e WhatsApp! “Mi piace” – “Non mi piace”

Nel mio lavoro di psicoterapeuta ho osservato con notevole frequenza una conseguenza relativa alle regole implicite della comunicazione sui Socials: le persone finiscono per assumere come “verità” la comunicazione sul web, seppure siano cognitivamente consapevoli che quel tipo di dialogo abbia delle regole diverse dalla comunicazione normale e non la possa rappresentare realisticamente.

Come è possibile? La persona non riesce a riconoscere il dialogo su FB o WhatsApp come gioco di ruolo e la confonde con la realtà creando poi dei guazzabugli relazionali a volte molto difficili da districare: “non ha risposto… allora non gli interesso, ma poi dopo due giorni ha messo un mi piace, allora vuol dire che gli interesso…quindi ora io gli scrivo un WhatsApp”, ecc. Si creano tutta una serie di aspettative sull’Altro e di significazioni del comportamento dell’Altro non intorno a cose reali relative all’Altro, ma alle fantasie di chi legge su ciò che l’Altro ha deciso di mettere in mostra di sé!

Osserviamo come la comunicazione sui Socials soddisfi molto il bisogno delle persone di essere viste, riconosciute, apprezzate e alimenti una dimensione ossessiva di controllo dove in apparenza tutto è semplice: se ottieni un “mi piace” hai un certo apprezzamento, ma se ne ottieni diversi altri, ne hai un altro che vuol dire che la persona è interessata a te e se non rispondi a un messaggio quello è un segnale “chiaro” di disinteresse. Osserviamo come quel semplice funzionamento sia valido solo nel gioco del Social, ma non rappresenti la realtà della persona che scrive, che è molto diversa da quella mostrata sullo schermo, più ricca di imperfezione e di sofferenza, ricca di imprevisti per cui uno può non rispondere perché ha la febbre, è stanco o ha 50 messaggi e uno gli sfugge o perché semplicemente è stanco di giocare perché occupato dalla vita reale!

Questo tipo di comunicazione omologa le persone, cioè le induce ad assumere un comportamento simile usando strumenti che semplificano la comunicazione secondo strategie cognitive di tipo binario, bianco-nero e rende difficile l’accendersi del pensiero critico, del dubbio sulla propria interpretazione. Per le ragioni sopra espresse è chiaro come questa modalità comunicativa sia prevalentemente utile a vendere, al marketing… avremo fatto caso tutti a come incredibilmente compaiano sempre notizie di nostro interesse sulla sezione Home di FB! Ma i Socials non sono da demonizzarsi del tutto: non è nocivo un uso leggero per svago, ma sono io che accendo lo strumento e non quello che mi chiama con le notifiche ogni minuto… se lo facessero una moglie o un marito gli tireremmo dietro sicuramente qualche imprecazione o, nel peggiore dei casi, una padella!

Essendo una modalità comunicativa semplice, che non richiede un gran dispendio energetico, perché non ho l’Altro difronte e posso essere anche in pigiama, col trucco sfatto o con le macchie di sugo sulla maglia, nasconde in seno un grosso pericolo: l’eccesso.

Se abusata alimenta molto le problematiche di confusione tra realtà e fantasia, dove per fantasia intendiamo l’idea che l’Altro si fa di noi, che viene arricchita e supportata di elementi pseudo-reali, ma in realtà fittizi e inaffidabili. L’Altro mostra di sé una vetrina a sua scelta e non la sua realtà e io sto leggendo quella vetrina e fantasticando sull’effetto che mi fa: “mi sento invidioso dell’Altro… mi sento migliore dell’Altro… mi sento bramoso di incontrare l’Altro”, ma è sempre un Altro che nella realtà non esiste veramente, perché quello è un gioco e l’Altro del gioco è solo un personaggio.

Possiamo renderci conto insieme di come ciò che sta alla base dell’abuso dei Socials sia il nostro bisogno di trovare conferma, approvazione? La nostra necessità di essere visti? Il nostro bisogno di scaricare stati d’animo che non riusciamo a gestire? È ormai un problema sociale che sta alla base della strutturazione della personalità di molti di noi, che diventa, con i Socials, una base feconda di manipolazione dell’Altro perché rende la persona dipendente dal “gregge”.

Badiamo bene che anche il dissenziente sottostà al “gregge” se è sempre lì a collegarsi, perché dipende dal suo bisogno di differenziarsi sempre dagli altri, ma rimane all’interno dell’ottica di controllo di tutto ciò che gli altri dicono di lui… c’è chi dipende dall’approvazione e chi dalla disapprovazione!

Quindi in conclusione la salvezza per mantenersi orientati alla realtà, presenti nella propria vita è quella di mantenere viva la consapevolezza che i Socials non sono la realtà ma un gioco virtuale, una vetrina spesso, e che dietro a un “mi piace “ o ad una mancata risposta le letture possibili sono moltissime e non scopriremo mai quale sia quella reale se non incontriamo l’Altro, se non sentiamo il suono della sua voce, se non vediamo il suo sguardo, la sua gestualità, se non sentiamo il suo odore e tutte le reazioni che dentro di noi queste sue modalità comunicative producono. In sintesi: se non c’è l’interazione tra il nostro corpo e quello dell’Altro non siamo in una comunicazione basata sulla dimensione della realtà!

 

 

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