Stiamo male perché dentro di noi si configurano dei conflitti? O i conflitti fanno parte della nostra natura e senza questi non sentiremmo il gusto del vivere?
Nella nostra quotidianità siamo spesso contemporaneamente tirati, da una parte e dall’altra, da due forze opposte.
Qualche esempio dei conflitti che ci attanagliano, per capire meglio di cosa stiamo parlando:
“Voglio avvicinarmi all’altro, ne sento il desiderio, ma poi quando sono lì sento il bisogno di andare via, qualcosa non funziona, arriva la paura? Forse sono fatto male io? Improvvisamente quella vicinanza è troppa.”
“Desidero muovermi per recuperare spazi per me, per ricaricarmi, ma poi non ho mai tempo, la vita fuori mi trascina da un’incombenza a un’altra. Mi sento diviso in due, senza possibilità di scelta.”
“Sento una grande intimità per la persona con cui divido la vita, ma la sessualità proprio non si accende.”
“Provo continuamente nuove relazioni, ma: o mi diverto sessualmente e mi manca la sintonia emotiva oppure c’è questa, ma la sessualità è spenta”.
“Mi muovo per essere indipendente, per trovare la mia strada e mi ritrovo a fare i conti con un forte senso di colpa. Se mi muovo nella direzione del mio desiderio di libertà, farò soffrire chi amo. Mi trovo d’avanti ad una scelta impossibile: o Io, o l’Altro.”
“Sono tutto teso a fare bene, se non ho fatto tutto quello che si aspettano da me ci sto male, ma poi, quando mi distraggo un attimo, un impulso mi porta a fare un’azione non da me, cattiva, sbagliata. Non capisco cosa voglio, chi sono io? Vivo proiettato verso il dovere e non sento più il piacere di vivere.”
In realtà noi siamo vivi proprio grazie ai nostri conflitti!
Come ho sperimentato ampiamente nel lavoro corporeo della bioenergetica, noi siamo la presentificazione del conflitto continuo tra contrazione ed espansione. Non può esistere un’inspirazione a cui non segua un’espirazione, l’una è la causa e insieme la conseguenza dell’altra. Così a livello emotivo non ci è possibile sentirci pieni e soddisfatti della nostra vita, se non passando attraverso il vuoto della perdita, reale o delle nostre illusorie aspettative. Quando evitiamo il dolore riduciamo enormemente anche la possibilità di sentire la vitalità e il gusto di vivere.
Il lavoro interno delle arti marziali (Nei Dan) mi ha fornito altri elementi di supporto concreto, nella cultura marziale (tai chi, kung fu, nei gong, nei kung, tomblain, tui shou) è risaputo che noi ci reggiamo in piedi per un conflitto contemporaneo tra 6 direzioni: alto-basso, destra-sinistra, davanti-dietro. Quando una di queste direzioni prende il sopravvento si crea un disequilibrio che si riflette su tutto il nostro assetto psico-fisico. Se perdo la terra, perdo stabilità emotiva; ma se perdo il cielo perdo creatività ed inventiva; se riduco la dimensione di contatto col femminile, vado nell’iper-razionalità, mi irrigidisco; se prevale quest’ultima a discapito del maschile, posso entrare in una dimensione emotivamente soffocante; se perdo contatto con la parte ventrale, rivolgo l’attenzione prevalentemente fuori, rimango in superficie; ma se perdo contatto con la schiena, posso essere anche molto in contatto con me, senza tuttavia riuscire a gestire l’esterno: non so come difendermi, né come entrare i contatto col mondo.
Come fare? Come salvarci dal pericolo di spezzarci in due?
Ci aiuta un’immagine, che porta Giandomenico Montinari nel suo libro: A letto con l’Evoluzione. Le peripezie antropologiche della sessualità:
«Andando fuori strada da una parte o dall’altra l’unica via di uscita è sempre stata la ricerca di una difficile posizione di equidistanza, (…) Gli espedienti più deboli, per uscire dall’impasse, sono proprio quelli più “logici“: lasciare fuori uno dei due poli.»
–proviamo a capire meglio riprendendo alcuni degli esempi sopra: lascio fuori la libertà e mi condanno all’indipendenza, o viceversa; lascio fuori la sessualità e rinuncio all’intimità, o viceversa; sposo la bontà e riduco lo spazio per me e così via.-
«(…) È così che molti, individui o specie, escono dalla corrente centrale dell’Evoluzione o se ne fermano ai bordi, come stagni sulle rive di un grande fiume. Solo i più forti si correggono e vanno avanti. Ma correggere la rotta non vuol dire solo dare un colpo di timone e mettersi in una posizione intermedia tra le due rive (…) L’equidistanza tra le due rive non è una posizione passiva, ma corrisponde alla fascia di massima energia e velocità, quella in cui la corrente è più rapida. (…) Rimettere in tensione continua e discontinua, quindi, non significa conquistare una posizione di tranquillità o di massimo risparmio, bensì costringersi ad escogitare nuovi e più avanzati strumenti di compatibilizzazione, compromessi inediti e impossibili tra posizioni divergenti, in altre parole attingere livelli di integrazione di complessità sempre più efficaci.»
È proprio lo sforzo del lavorare per tenere insieme le direzioni incompatibili, che produce l’energia che ci fa sentire vivi e che ci fa gustare la nostra vita. Se pensiamo alla pila il concetto è ancora più chiaro: è la differenza di potenziale a produrre la corrente.
In bioenergetica e nel lavoro interno delle arti marziali la corrente vitale è attivata dal lavoro per tenere insieme: contrazione con espansione; allungamento con flessione; lavoro strutturale con la respirazione; espansione in alto, con radicamento in basso; flessibilità e accoglienza insieme a confini chiari e definiti.
Concludendo la corda non si rompe, né prevale uno dei due poli, se siamo capaci di rimanere nella tensione: in medio stat virtus, dove il medio non è un punto fermo, ma una dimensione di oscillazione continua, prodotto di un paziente lavoro di riduzione dell’ampiezza dell’oscillazione stessa (vedremo in un prossimo articolo, la risonanza col concetto di finestra di tolleranza delle emozioni).
Bibliografia
Daniele, F. Le tre vie del Tao
Montinari, G. A letto con l’Evoluzione. Le peripezie antropologiche della sessualità