Ieri sera mi sono ritrovata a guardare il film Atlantis, L’impero perduto, mentre fuori era in atto la fine del mondo. Una civiltà distrutta, da scelte di utilizzo delle risorse, che hanno portato alla rottura dell’ecosistema, squilibrando la simbiosi. Mi suonava vagamente familiare, quasi ironico.
La Natura arriva con tutta la sua potenza e ci travolge, in parte siamo responsabili del suo scatenarsi, in parte è sempre accaduto e sempre sarà così.
A volte la sciagura è prevista e ci fa sostare in una lenta attesa, dove i minuti si dilatano e l’ansia cresce lentamente al passare del tempo. Più spesso arriva senza avvisaglie e travolge, proprio come l’acqua che in questi giorni ha devastato il territorio savonese: passa sopra, sotto, intorno, si insinua e poi va oltre, scorre finché ha l’energia per compiere il suo lavoro.
Non c’è difesa alla sua potenza, per quanto una buona prevenzione possa arginare i danni, la devastazione arriva comunque. Più siamo coinvolti nella lotta per cercare di contrastare l’inevitabile, più sconvolgente sarà per noi sentire la realtà dell’impotenza assalirci a fenomeno concluso.
Accogliere questa impotenza davanti a ciò che è più grande di noi e compiere questo atto di umiltà è parecchio difficile per noi, uomini e donne cresciuti nell’epoca in cui la tecnica è stata divinizzata.
Siamo cresciuti con l’idea che quasi tutto sia possibile e alla nostra portata, abbiamo avuto poche esperienze frustranti, poche occasioni di “mancanza” e non sappiamo più usare le mani per fare cose che, solo settant’anni fa erano competenze comuni ai più. Ritrovarci, o anche solo pensare di poterci ritrovare, senza le dimensioni basilari a cui siamo abituati: gas, energia elettrica, acqua corrente, fogne, strade può far facilmente scattare il sistema d’allarme dentro al nostro cervello portandoci al panico, alla paralisi o alla rabbia.
In queste occasioni ci ritroviamo messi davanti al nostro essere fragili, indifesi e mortali. Il nostro atteggiamento difronte alla vita mette in luce ed esprime il nostro concepire ed accogliere la morte, prevista ma dimenticata, in tutta la sua imprevedibilità.
Quando abbiamo modo, nel nostro piccolo, di accogliere il nostro essere mortali, allora riusciamo contemporaneamente a mettere in campo le nostre migliori risorse per affrontare gli imprevisti.