Il Tempo in quel momento ricominciò e tutto si svegliò e si rimise in moto. Le automobili correvano, i vigili fischiavano, i colombi volavano e il piccolo cane lasciò il suo rivoletto ai piedi del lampione. Gli uomini non si erano neppure accorti che il mondo fosse rimasto fermo per un’ora, perché-in realtà-non era trascorso tempo tra la fine e il nuovo inizio. Per loro era passato come un batter di ciglia.
Eppure, qualcosa di cambiato c’era: d’improvviso la gente aveva tempo in abbondanza. Era naturale che ognuno ne fosse felicissimo, ma nessuno sapeva che -in verità- era il suo proprio tempo risparmiato che miracolosamente gli era stato restituito. (Momo, Michael Ende)
Gli eventi che stiamo vivendo da un po’ di tempo a questa parte: prima alluvioni, strade e ponti che crollano, ora il Coronavirus che ci minaccia, portano la nostra attenzione a focalizzarsi sulla paura.
Sono eventi tra loro differenti, ma che hanno in comune un aspetto fondamentale: sono più grandi di noi, faticosi e non più di tanto prevedibili o arginabili.
La paura si muove dentro di noi producendo una serie di effetti: ci irrigidisce, ci raffredda, ci può rendere tesi come la corda di un violino e pronti a scattare o immobilizzare come una pietra senza la minima possibilità di azione. Ci rende diffidenti, accorti, calcolatori oppure sonnolenti, rassegnati e depressi.
Ma la Paura ha anche un’altra caratteristica: più cerchiamo di eliminarla, più diventa grande, portandoci a fare nella relazione con gli altri proprio quello che vorremmo fare con lei: tenere le distanze. Mentre, se la accogliamo e la prendiamo per mano, come faremmo con una bambina spaventata, piano piano si rilassa, si scalda e si ammorbidisce, facendo diminuire l’irrequietezza o scongelare l’immobilità e restituendoci la capacità di entrare in contatto con gli altri e chiedere loro sostegno.
Il virus che ci intimorisce in questo momento è invisibile ai nostri occhi e questo lo rende ancora più spaventoso.
Molti di noi da bambini hanno nutrito un certo timore per il buio… da quel luogo prendono forma tutte le paure. Proprio come era allora, nel buio della camera della nostra infanzia quando un’ombra diventava un mostro, oggi i nostri pensieri danno forma alla paura del virus invisibile creando ulteriori ansie e difficoltà da gestire.
Cosa facevamo da bambini per superare la paura di quello che c’era nel buio?
Chiamavamo la mamma o il papà chiedendo un contatto, una rassicurazione; stringevamo il nostro peluche o la mano di un fratello; ascoltavamo una ninnananna ripetitiva e rilassante; davamo un nome alla paura “Lupo”, “Mostro” e ci alzavamo, accendendo la luce per verificare la vera natura dell’ombra; facevamo un piccolo rito tutte le sere per scongiurare l’arrivo dei mostri (una preghiera, alcuni giochi messi in posizione di difesa, una porta o una finestra chiuse bene) e poi, adottata la nostra strategia, piano piano tornavamo a rilassarci scivolando nel sonno, senza più tutto quel timore.
Queste strategie bambine ci sono ancora oggi e sono le nostre risorse invisibili!
Il contatto fisico coi nostri famigliari (per un po’ l’unico ancora consentito); la voce degli amici che sostiene da un telefono o da una video chiamata; il fare cose che ci rilassano e ci danno piacere; il muoverci facendo ginnastica e ampliando il respiro; il dare nome a ciò che ci sta provocando l’ansia, creando piccoli rituali per contenere il nostro disagio.
Credo che riscoprire queste risorse sia un regalo prezioso per la nostra vita, un regalo portato da questa bufera che distrugge, spaventa, ma come tutti i disastri porta con sé anche qualche lato buono.
Portando l’attenzione su cosa ci fa sentire al sicuro, risvegliamo qualcosa che abbiamo lì con noi dall’infanzia, ma che abbiamo lasciato indietro. Abbiamo anche noi in cantina un mantello dell’invisibilità, che era stato dimenticato, indossando il quale diventiamo proprio della stessa natura di ciò che ci spaventa e ci consente di confrontarci col “buio” ad armi pari!
La tempesta che stiamo attraversando ci regala delle opportunità: ci consente di fermarci e ci mette davanti allo specchio, come stiamo vivendo? Siamo soddisfatti? Abbiamo veramente bisogno di tutto quello che è venuto a mancare o, forse, possiamo vivere trovando gioia e soddisfazione anche senza un sacco di cose che c’erano prima, perché la loro assenza dà vita ad altro?
Essere costretti a stare chiusi in casa, a stretto contatto con i nostri cari, con ritmi anche rallentati rispetto alla vita abituale, rende possibile vedersi nelle proprie dinamiche, ma consente anche di sperimentare nuovi modi di stare insieme e ci regala uno spazio per esplorarli. Può non essere sempre semplice, né gradevole, ma è un’opportunità che possiamo decidere di cogliere per andare verso l’altro.
La mancanza di contatto fisico e relazionale sta riattivando il desiderio degli altri.
Chissà che sapore avranno gli abbracci e i baci quando potremo nuovamente scambiarli?
E che valore hanno oggi i baci che possiamo ancora dare, dentro ai nostri nuclei famigliari ristretti!
I bambini invece di lamentarsi perché è finito il tempo per usare i videogiochi dicono frasi come:”mi manca la scuola!”.
Numerose persone sentono la necessità di interrompere la consultazione dei socials e del web, perché si accorgono dell’effetto disorientate, che è generato dalle notizie contraddittorie che sono postate e, senza il bisogno di indicazioni esterne, si auto-regolano scegliendo una o due fonti dove tenersi aggiornate e lo fanno non più di una o due volte giorno.
Siamo davanti a un recupero della capacità di desiderare, di dare valore a ciò che abbiamo, che solo la privazione poteva arrivare a risvegliare e che riabilita l’utilità dei limiti.
Dal punto di vista storico, sociale e psicologico siamo in un momento che potrebbe gettare qualche seme per un cambiamento nella direzione del nostro vivere sociale, per il ribaltamento del paradigma attuale.
Ma cosa c’entrano i pidocchi?
Tutta questa vicenda del Coronavirus mi ha attivato immediatamente l’immagine dell’infestazione da pidocchi. Penserete che sono impazzita e che non prendo seriamente la questione, ma provate a seguirmi per un attimo.
Un tempo dei pidocchi si occupavano i sanitari e il bambino veniva allontanato e non poteva rientare finché non era debellato il parassita. Oggi non se ne occupa nessuno perché, ironia, per la privacy gli insegnanti non hanno il permesso di guardare in testa ai bambini, né di segnalarli ai sanitari. E domani?
Se ognuno farà il suo piccolo pezzo denunciando i pidocchi sulla testa del proprio bambino, consentirà agli altri genitori di scoprire che non c’è da vergognarsi o nascondersi e si creerà un circolo virtuoso in cui tutti faranno altrettanto. Questo consentirà anche di far fare il lavaggio delle teste dei compagni in contemporanea e i parassiti saranno debellati in un solo giorno!
Le indicazioni che ci vengono date dal governo rispetto al Coronavirus hanno lo stesso senso. Più contatti ci saranno, più sarà la diffusione e più tempo e difficoltà avremo a mettere la parola FINE a questo faticoso periodo. Se lavoriamo in rete e ci affidiamo agli altri, anche il Coronavirus può essere contenuto in un tempo relativamente breve.
Da questa crisi sociale, economica e personale possiamo imparare molto per progettare il nostro futuro prossimo, riunendo l’Amor proprio e Altruismo, che a lungo sono stati separati e costruendo una rete di legami che sostengono. Ritrovando la disciplina, che non è obbedienza; il limite, che non è una prigione ma un confine che consente a tutti di essere più liberi e di sentirsi al sicuro.
E, quando ci sentiamo al sicuro, la paura si calma, diventa una nostra alleata e smette di essere un incubo!
Vuoi sapere come funziona il cervello quando siamo nella Paura? Leggi: Le due facce della Paura Reazioni all’emergenza Coronavirus
Foto tratta da: Momo, film di Johannes Schaaf