Una persona ha cancellato le sue parole di commento a un post.
È stata la mia prima volta, non mi era mai successo prima.
Sono rimasta stranita, sorpresa, perché neppure immaginavo che ci fosse la possibilità di cancellare uno scambio…
Il dialogo tra noi é semplicemente scomparso, senza preavviso, come se non ci fosse mai stato, é bastato un silenzioso click.
Mi sono chiesta perché questa persona l’abbia fatto?
Sì é vergognata di ciò che aveva scritto?
Si è indispettita per non aver avuto un plauso unanime?
Nel rileggersi si è giudicata negativamente o ha temuto un giudizio altrui?
È intollerabile per lei avere un’opinione, sancita nero su bianco e contraria alla sua?
La conversazione non c’è più sul web, scomparsa come se non ci fosse mai stata, ma due tracce di quel dialogo sono rimaste: dentro di me e dentro di lei.
Questo evento mi ha attivato un vissuto di dispiacere.
Quando si cancella quello che è stato, la storia, si perde un’occasione per alimentare la riflessione reciproca.
Poi la mia attenzione ha lasciato la persona in questione e si è spostata sul Sistema.
Come mai i Socials consentono di cancellare le proprie tracce?
Che senso ha? È utile?
Così facendo alimentiamo immagini esclusivamente positive: sosteniamo l’apparenza di una realtà perfetta, sempre felice, sempre adeguata, sempre condivisa. Proponiamo al mondo l’immagine di come vorremmo essere, eliminando gran parte di ciò che non si conforma a questo ideale, ma che in realtà siamo.
Ma cosa perdiamo andando dietro a questo modo?
- Perdiamo uno stimolo a fermarci un attimo prima di agire.
Se ci assumiamo la responsabilità delle nostre azioni, che non sono cancellabili, saremo più portati a soppesarle prima di muoverci. Non sono proprio le esperienze di confronto con i nostri fallimenti a far crescere le capacità di regolare le emozioni? È nel contatto coi nostri errori che impariamo a non agirle immediatamente e ad avere risposte più contenute e adeguate!
È diseducativo e nocivo per la società intera offrire alle persone la possibilità di mettere sotto il tappeto il frutto dei loro gesti… poi ci meravigliamo dello scarso senso civico? Non lo alimentiamo forse con questo sistema del “facciamo finta che non sia mai successo“?
- Perdiamo la possibilità di accogliere le nostre fragilità, come luoghi da cui partire per crescere.
Se c’è giudizio, non c’è crescita. Se cancello il passato e lo nascondo a me stesso o ad altri, lo faccio perché ho dentro un giudizio negativo o perché temo il giudizio esterno.
Se accogliessimo l’errore e non pretendessimo di essere infallibili? Chi può vantarsi di non aver mai sbagliato o agito d’impulso? Nessuno!
Se l’errare viene riabilitato, il mio sbagliare può diventare un luogo di apprendimento per me e per chi mi sta vicino.
Mentre ero immersa in queste riflessioni mi sono imbattuta anche in un’altra testimonianza: sempre nei commenti a un post, sono incappata in commento aggressivo e polemico, ma la persona che lo ha scritto, ha saputo coraggiosamente accogliere il rimando d’essersi espressa in toni eccessivi. Si è addirittura scusata pubblicamente con la persona che aveva attaccato! Ha lasciato lo storico del proprio “errore”, insieme a quello delle proprie scuse.
Questo comportamento mi ha fatto sentire lieta e speranzosa: questa persona mostra capacità di imparare dai propri errori, dei quali si assume la responsabilità! È un esempio di circolo virtuoso: possiamo educare noi stessi e, nel farlo, forniamo l’opportunità anche ad altri di apprendere dalla nostra esperienza negativa.
- Perdiamo la possibilità di arricchirci nel dialogo con chi la pensa diversamente da noi, di prendere spunto dalle prospettive altre, di crescere nel dialogo che potrebbe aprirci nuovi punti di vista.
Perché è solo nel confronto con il diverso da noi che la nostra prospettiva si amplia, che sviluppiamo e nutriamo le capacità critiche, oltre a quelle dialettiche.
- Perdiamo la possibilità di entrare in contatto con la nostra realtà, fatta dell’essere fallibili, impulsivi, a volte reattivi nelle nostre risposte, dunque umani e possiamo addirittura finire per credere di essere quella realtà virtuale, che mostriamo agli altri sui Socials.
Ma così facendo, in realtà, rimaniamo profondamente soli, vincolati all’apparenza, all’approvazione e alla disapprovazione altrui.