Divagazioni intorno ai preconcetti sul lavoro dello psicologo
Le persone arrivano spesso in terapia con l’aspettativa di cambiare o di cancellare alcune parti di Sé.
In realtà non solo non è possibile, ma non sarebbe neppure utile!
La terapia lavora nella direzione dell’accettazione di Sé, con tutte le parti che ci compongono.
Cosa intendo con parti?
Ognuno di noi, come abbiamo esplorato nell’articolo Equilibri imPossibili, ha dentro se stesso dei conflitti.
Una parte di me vuole quel lavoro, un’altra ne ha paura; una parte di me è in collera, l’altra si sente in colpa; una parte di me è triste, l’altra sente soddisfazione.
Potremmo immaginare il nostro Sé come se fosse composto da una tavola rotonda con tante persone, con qualità ed età differenti, sedute intorno.
Qualche altro esempio per farci un’idea di come potrebbero essere alcune delle parti, nelle loro diverse qualità:
La Rottermaier, parte giudicante, che non ce ne fa passare una e ci tiene il dito puntato contro (e non la fa passare liscia neppure agli altri!)
Mery Poppins, gentile e capace di essere ferma al tempo stesso, di rendere gestibile anche l’emozione più ingestibile.
La Piccola Fiammiferaia, parte spaventata, che ci fa rintanare in ciò che conosciamo, impedendoci di muoverci verso il nuovo, di esplorare i nostri desideri e le nostre ambizioni.
Hulk, la parte che, dopo essersi trattenuta a lungo, quando l’ultima goccia trabocca, scoppia e spacca tutto quello che ha intorno senza riuscire a differenziare.
Di solito non conosciamo tutte le parti di noi, ma ne abbiamo presenti alcune che prediligiamo, altre che cerchiamo di tenere lontane dalla tavola rotonda e altre che sono inconsce, dimenticate perché chiuse in cantina!
Perché non è utile allontanare o cancellare le nostre parti brutte?
Perché ogni nostro lato nasce e si sviluppa con una funzione che ha un senso, un’utilità per la nostra sopravvivenza psicofisica. Detto con altre parole anche le parti che ci sembrano più disfunzionali hanno avuto una funzione positiva e cercano di proteggerci dalle difficoltà o di farci evolvere nel modo migliore possibile, tenuto conto delle nostre risorse e delle condizioni esterne. Ma una volta adulti ci ritroviamo con alcune parti che sono come guerrieri valorosi che non si sono accorte che il pericolo è passato! Continuano a prendere troppo spazio, privandoci dell’opportunità di riaprire le possibilità che in guerra non sono realizzabili (coltivare campi, costruire case, divertirsi).
Lavorare per ricreare il dialogo tra tutte le parti, senza escluderne nessuna, richiede certamente coraggio e fatica, ma è la strada che apre l’accesso al riconoscere le risorse nascoste nei nostri limiti.
La Rottermaier cerca di proteggere la parte spaventata, se la aiutiamo a capire che se parla così al bambino impaurito non lo aiuta perché lo atterrisce ancora di più, forse riusciremo ad ammorbidirla un po’.
Oppure, aiutando la parte Mery Poppins a comprendere che se si occupa sempre lei della Fiammiferaia, la bambina spaventata non sentirà mai sufficiente fiducia in se stessa per affrontare il mondo.
O ancora, l’Hulk che è in noi può avere una funzione protettiva ed energizzante che, se regolata dal dialogo con Mary Poppins, può supportare la parte spaventata nell’andare verso il mondo senza dover temere troppo i contrasti.
La Fiammiferaia, dal canto suo, supportata da Mary Poppins, può certamente sostenere un recupero di sensibilità nel dialogo con Hulk e con la Rottermaier. Così come può insegnare la competenza di come non buttarsi con inscoscienza in situazioni pericolose.
La sintesi è nell’unione degli opposti, per lavorare alla quale serve l’intervento anche del terzo, come nell’ultimo esempio.
L’integrazione è, dunque, sempre il frutto di un paziente lavoro di rete.