I messaggi veicolati dal modo in cui impariamo a mangiare contribuiscono a costruire il nostro modo di entrare in relazione col mondo.
Il nutrimento ha molte facce e sfumature:
- il contatto fisico ed emotivo, che ci fa sentire lo stato altrui,
- lo sguardo, che crea contatto emotivo anche quando c’è distanza fisica,
- la voce, che calma l’ansia e introduce rassicurazione,
- il profumo, che avvicina e fa sentire sicuri,
- la risonanza con l’Altro anche quando è assente,
- la risolutezza nel tenere un “No” quando è necessario,
- lo stesso cibo, con tutte le molteplici sfumature che comportano come venga cucinato e somministrato.
Ci sono due estremi, che ci consentono di capire meglio:
- Sono stato nutrito troppo… sono dipendente dall’Altro.
Sono stato soffocato dall’amore e la mia capacità di autonomia è “marcita”, proprio come marcisce una pianta quando riceve troppa acqua.
Non so come muovermi per prendere ciò che vorrei, perché non sono mai stato allenato a stare nella siccità e alla prima mancanza di rugiada mi asciugo e mi sembra di morire.
Non so come si fa a prendere l’acqua, né dove cercarla, le mie radici non sono state allenate a muoversi e a cercare.
- Sono stato nutrito troppo poco… non considero l’Altro una risorsa.
Sono secco, nessuno si avvicina, perché non ho nulla da dare, non ho avuto acqua e non posso generare perché non so come protendermi per chiedere, sento gli altri estranei e li vivo con diffidenza.
L’abbondanza emotiva mi spaventa, la trovo invadente, sono allenato a cavarmela da solo, le mie radici si aggrappano alla terra e bastano a se stesse.
Nella relazione con i genitori a partire dall’allattamento fino a quando il bambino sederà a tavola, il modo di vivere il preparare, l’offrire e il condividere il cibo può essere rappresentativo dei modelli relazionali dei genitori.
Il cibo stesso diventa sovente un simbolo di diversi aspetti: l’unione famigliare, il piacere della relazione, la ricerca di socializzazione (pensiamo ad esempio ai diversi messaggi passati dal mangiare a tavola tutti insieme o dal mangiare sul divano davanti alla televisione), ma anche strategia di ricatto e punizione da parte del genitore, nonché uno strumento di contrapposizione agli adulti per il figlio.
Il bambino, sin da quando è in fasce e sempre di più crescendo, riconosce come le persone che lo accudiscono non siano indifferenti al cibo che lui assume e scopre come la sua relazione con ciò che mangia possa diventare uno strumento di potere nella relazione con i genitori.
Il troppo interesse circa il fatto che mangi troppo o troppo poco, la soddisfazione o l’irritazione rispetto al modo in cui lo fa (rispetto delle regole, lo sporcarsi e lo sporcare, il finire tutto o il non finire tutto, il chiederne ancora, l’offrire il proprio o il non condividerlo) costituiscono una base per dare significati di natura affettiva e relazionale che vanno ad aggiungersi al valore meramente nutrizionale.
Quando un bambino arriva a dichiarare guerra ai genitori attraverso il suo rapporto con il cibo, pensiamo ai disturbi alimentari, lo fa nell’inconscio tentativo di comunicare loro un disagio relativo alla relazione con loro, al nutrimento affettivo di cui è stato privato o nel quale è stato immerso esageratamente.
Un altro aspetto di non secondaria importanza riguarda le conseguenze sociali dell’educazione alimentare: la cornice che i genitori creano durante il pasto diventa una delle basi nell’acquisizione delle regole sociali (condivisione vs individualismo), di una propria autonomia (con l’esplorazione della propria identità attraverso il gusto) e di un atteggiamento fiducioso verso il mondo.
Per comprendere meglio i messaggi che passiamo ai bambini, nei prossimi post vedremo alcune situazioni tipiche, in cui veicoliamo messaggi negativi senza accorgercene:
Il cibo come nutrimento affettivo -seconda parte- Ricatto emotivo e Negazione del sentire
Il cibo come nutrimento affettivo -terza parte- Premi vs. Punizioni e Inganno