È primavera, i fiori si preparano a sbocciare. Le piccole gemme in questo periodo sono fragili e delicate: una gelata, una pioggia troppo intensa, piccoli urti o avidi parassiti potrebbero spezzarle e interrompere la loro promessa di futura bellezza.
Ognuna di queste gemme racchiude in sé la possibilità di crescere e arrivare a sbocciare, ognuna porta con sé una preziosa risorsa piena di bellezza e di nutrimento, ce la farà o soccomberà a un fato avverso?
Le nostre fragilità sono proprio come queste gemme, siamo cresciuti pensandole come impedimenti, perché abbiamo imparato a tenere l’attenzione solo sugli aspetti limitanti e non abbiamo appreso a osservare con attenzione la potenzialità di crescita che si nasconde dentro all’incontro con la situazione sgradita.
In questo periodo, nel quale siamo costretti all’isolamento, abbiamo una corposa possibilità di entrare in contatto con le nostre fragilità.
Gli impedimenti alla volontà, il rallentamento della velocità favoriscono il confronto con i nostri limiti, ce li sbattono in faccia, talora con violenza. Ma c’è un lato buono: ci aiutano a riconoscerli!
Se cogliamo questa occasione, si apre per noi la possibilità di tenere vicino e di abbracciare le nostre mancanze.
L’occasione di abbracciare i lati negativi? Non sono impazzita… provate a seguirmi ancora per qualche pensiero!
È assodato che il nostro primo istinto ci porterebbe a soffocare i lati di noi che ci sono sgraditi, cercando di strapparli via o di nasconderli a noi stessi e agli altri. Abbiamo imparato fin da piccoli a fare così!
Al posto del timido stelo vorremmo un bel tronco d’albero, forte e maestoso. Nell’andare dietro a un’idea di potenza indisturbata, non ci soffermiamo sulla bellezza e le possibilità che i timidi, fragili steli portano con sé, rischiando spesso di perderci lo spettacolo della fioritura, della diffusione dei pollini e della loro fecondazione, che noi stessi impediamo, perché troppo concentrati sul tronco.
Siamo abituati a ragionare in termini di: potenza, grandezza, e forza, sfruttiamo tutto quello che ci circonda ponendoci come padroni al di sopra del mondo e degli altri esseri viventi.
Nel libro Verde Brillante è offerta una prospettiva, che ho trovato estremamente interessante, gli autori fanno una serie di considerazioni sulla strategia evolutiva di sopravvivenza delle piante rispetto a quella dei mammiferi, incluso l’uomo. Scopriamo se possiamo cogliere qualche spunto dal mondo vegetale.
- “Nelle piante le funzioni cerebrali non sono separate da quelle corporee, ma compresenti in ogni singola cellula (…)- interagiscono- con il mondo attraverso il proprio corpo fisico”.
Non hanno “organi come polmoni, fegato, stomaco” e proprio in funzione di questa loro struttura le piante sono capaci di “resistenza passiva agli attacchi esterni (…) ogni parte è importante, ma nessuna indispensabile”. Il mondo animale, di cui facciamo parte, si è evoluto concentrando le funzioni principali in organi, senza i quali non possiamo vivere, le piante hanno centri di comando, presenti in ogni cellula, che consentono la rigenerazione.
- Sono capaci di collaborare tra loro, “si orientano nel mondo interagendo con altri organismi vegetali, con insetti e con animali, comunicando tra loro attraverso molecole chimiche e scambiandosi informazioni (…) si parlano, riconosco i parenti e dimostrano di avere diversi caratteri”.
Se ritorniamo alle fragilità, che sono il tema di questo articolo, e proviamo a guardarle con un occhio creativo usando la metafora del mondo vegetale che vi propongo, possiamo renderci conto che la dove c’è una ferita, un punto debole, che normalmente vorremmo strappato via o cancellato, abbiamo la possibilità di concentrare la nostra attenzione per rigenerarci, proprio come fanno le piante. Dal punto dove il ramo è stato strappato, può nascere nuova vitalità.
Se guardiamo alla fragilità non come un limite, ma come una possibilità di crescita, tutto quello che ci arriva diventa uno spunto di miglioramento, non in termini prestazionali, ma in termini evolutivi.
È più funzionale per me lamentarmi per l’ingiustizia della tempesta che mi ha troncato un ramo o accogliere ciò che è accaduto e concentrarmi per far cicatrizzare la ferita e consentire a un nuovo rametto di emergere?
Ogni parte di noi ci è necessaria e anche quelle che sembrano essere dannose, hanno in realtà un intento buono, spesso protettivo.
Posso invidiare l’albero che ha radici profonde e un fusto corposo o accogliere la mia natura di violetta e ripararmi alla sua ombra facendo esplodere il mio profumo?
Posso accogliere la mia natura di edera e lasciarmi sostenere dai tronchi forti degli alberi, senza vergogna, fino a quando il mio stesso tronco non diventerà più corposo e in grado di sostenersi da solo?
Se ci poniamo in una prospettiva accogliente verso queste parti limitanti o fastidiose possiamo sostenere la nostra crescita e riparare le ferite, trovando nuova linfa vitale proprio a partire da queste.
Se iniziamo a pensare a noi stessi come parti di un insieme che funziona all’unisono, se muore una parte non muore il tutto, ma ne nascono altre che tengono in vita l’equilibrio del sistema, che si modifica durante la crescita e l’interazione con ciò che avviene dentro e con ciò che accade fuori.
Libro consigliato:
Mancuso, S. e Viola, A. Verde Brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale. ed. Giunti
Foto di Camilla Buonamico