Questa dimensione di chiusura, in cui abbiamo vissuto negli ultimi due mesi, ha sollecitato il nostro sistema nervoso portandolo in una dimensione di allarme, che ha costretto tutti noi a relazionarci con gli altri rimanendo sulla difensiva. È una strategia che il sistema nervoso attiva automaticamente, senza che noi ne siamo consapevoli!
Allo stesso tempo però il lockdown ha consentito il contatto con le nostre fragilità: ognuno di noi ha avuto la possibilità di avere più presenti le proprie aree di mancanza.
Questo discorso vale per i singoli, ma non è diverso per i sistemi: la società tutta si è trovata a fare i conti con le proprie fragilità, che si rivelano nell’incapacità di fare rete tra istituzioni differenti.
Questo è accaduto anche alla Scuola, inevitabilmente, non per cattiva volontà, ma perché questo è il problema della nostra società.
Potremmo allora sfruttare l’occasione per considerare la possibilità di ripensare la Scuola? Partire dalle difficoltà riscontrate per creare un sistema educativo più solido ed efficace?
Gli insegnanti fanno un gran lavoro, ma sono stati abbandonati alla loro buona volontà e creatività e, lasciatemelo dire, fanno i salti mortali!
Da molto tempo manca, in chi ci amministra, una politica lungimirante, che veda la Scuola come un luogo prezioso da coltivare, che ne comprenda la potenzialità finalizzata ad uno sviluppo sociale imperniato sulla responsabilità e sul senso civico. Due qualità che non si sviluppano, se non vengono coltivate.
Immaginate se la pandemia ci avesse investito trovandoci tra cittadini capaci di autoregolarsi? Di quante restrizioni in meno avremmo potuto godere, affidandoci al buon senso e all’educazione coltivate? È chiaro che non vedremo risultati immediati, forse è la ragione per cui un investimento serio sulla Scuola non c’è da decenni, ma è l’unico modo per seminare educazione alla responsabilità e non continuare ad essere costretti ad agire in modo repressivo.
Per ristrutturare la Scuola abbiamo bisogno innanzi tutto di uscire dall’ottica individualistica: non potremmo altrimenti trovare delle strategie per far capo a un problema così ampio, come la traumatizzazione collettiva, che ci ha coinvolto tutti, perché siamo tutti stati in emergenza contemporaneamente.
Vediamo alcune situazioni tipo verificatesi negli ultimi mesi:
- I genitori che devono trovare il modo di aiutare il figlio ad accedere alla scuola a distanza, organizzargli i compiti nell’arco della settimana e magari continuando a lavorare a pieno ritmo e senza aiuto alcuno.
- I genitori che lavorano, con più figli di età diverse, quindi con diversi bisogni e differenti richieste, che sovente si sovrappongono.
- I genitori che hanno avuto il lavoro sospeso o che lo hanno perso e che hanno gestito i figli, con la preoccupazione di non avere più una sicurezza economica e/o con pesanti vissuti depressivi.
- I nuclei monoparentali, le famiglie con figli disabili o parenti stretti malati, che si trovano a dover sopravvivere economicamente e far fronte a tutte le richieste inerenti la prole.
- I nuclei con gravi difficoltà economiche, con la conseguente impossibilità di connettersi alla rete per seguire le indicazioni degli insegnanti e la paura di venire dimenticati.
- I nuclei dove c’è violenza psicofisica e dove per due mesi non ci sono state possibilità di fuga alcuna dal terrore familiare.
- I docenti potrebbero essere anche genitori o caregiver di malati, con le stesse difficoltà delle categorie sopra descritte, che si sono trovati a dover strutturare il loro lavoro in un momento di emergenza, dove tutti i riferimenti strutturali della didattica sono saltati all’improvviso e con in più da gestire il loro “dietro le quinte”.
- I dirigenti che si trovano ad essere il riferimento che deve coordinare uno stato di emergenza e che sono soli e senza il supporto di competenze legate alla gestione delle emergenze, ma con tutto il carico delle dinamiche conflittuali, che queste situazioni portano con sé.
Il nostro cervello in queste situazioni ci porta a cercare il responsabile, se ce la prendiamo con qualcuno che identifichiamo come colpevole, automaticamente proviamo sollievo perché distanziamo il problema e la sofferenza che porta con sé. Ma questo non fa che far incistare di più i nostri guai!
Quanti attacchi tra categorie abbiamo visto in questi due mesi girare su giornali, TV e socials?
Quindi il tanto ragionare su chi non ha dato quello che avrebbe dovuto (alunno, genitore, insegnante o dirigente che sia) e il darsi reciprocamente addosso, non è la strategia che ci può aiutare ad uscire da questa situazione.
Abbiamo bisogno di creare uno spazio riflessivo per poter trovare un significato in quello che è successo e in come tutti noi abbiamo reagito. Se consideriamo quanto è avvenuto come una parentesi e ci riproponiamo magicamente di ripartire, senza elaborare, non usciremo dall’attivazione di allarme del sistema nervoso, né a livello individuale, né a livello sociale. Perderemmo un’occasione preziosa!
Soffermarci su alcune domande apparentemente banali ci aiuterebbe invece ad aprire la riflessione sia come singoli, che come sistemi sociali:
- L’energenza Covid-19 ci ha cambiato? Come?
- Quali strategie hanno funzionato e quali no?
- Dove e come abbiamo saputo mettere insieme le risorse e dove ci siamo persi?
Anche pensando a Settembre, possiamo pensare a come ristrutturare la Scuola dopo il terremoto solo dopo aver messo a fuoco da quali carenze e da quali risorse residue partiamo, individualmente e collettivamente.
Questa crisi può trasformarsi in un’occasione per rendere il contesto scolastico più confortevole sia per chi ci entrerà come discente, che per chi avrà il compito faticoso di riorganizzare lavori.
Può aiutarci la politica mettendo in primo piano la Scuola? Può supportare un investimento educativo a lungo termine che si ripercuoterà virtuosamente anche sulla salute e sulla qualità di vita dei suoi cittadini? Può occuparsi seriamente della formazione degli insegnanti e dei loro bisogni educativi oltre che didattici?
Gli esseri umani danno il loro meglio quando si mostrano per quello che sono, inclusi i limiti. È nell’incontro delle fragilità, del nostro non saper fare o non essere all’altezza, che ci sentiamo vicini gli uni agli altri e che riusciamo a mettere in comune le risorse che abbiamo.
Ripensare la Scuola sulla base di questo presupposto e orientarla meno all’individualismo e più alla contaminazione reciproca, potrebbe essere una strategia, magari faticosa da avviare ma sicuramente vincente a lungo termine e preventiva (nel caso dovessimo nuovamente affrontare nuove emergenze).
La forma più efficace di resilienza è costruire insieme un supporto tra eguali, eguali non nei ruoli, ma nell’essere tutti persone che collaborano per creare un contesto confortevole e funzionale. Se potessimo considerare di lasciar andare il nostro timore di venire giudicati negativamente (chissà poi dove l’abbiamo appreso!!) potremmo muoverci tutti in una direzione comune, facendo buon uso delle nostre differenze.
L’ottica è quella del mettere in comune tutte le risorse che ci sono, lasciando da parte il timore della valutazione, che per gli insegnanti può essere quella del collega, del genitore, del preside, mentre per i genitori può essere quella degli insegnanti o degli altri genitori. La prospettiva che propongo, invece, prova a fare dell’accoglienza dell’altro il suo fulcro.
Le proposte di ristrutturazione, che possono essere utili, possono venire dai colleghi o anche dalle famiglie, dove possono esserci anche dei genitori disponibili per tempo o per competenze a dare quelle piccole pillole di sostegno, che possono contribuire a rendere il clima scolastico migliore per tutti: alunni, insegnanti e genitori. Ma è fondamentale anche una volontà politica di investire in questa direzione!
Sindaci e giunte di tutta Italia fatevi sentire presso le alte sfere, portate la voce dei vostri cittadini! Ristrutturiamo la Scuola!
L’idea è partire dal terremoto per ricostruire, provando a mettere nuove basi: creare una rete invece di essere tutti contro tutti, come l’ottica individualista ci porterebbe a fare, rinforzata dall’attivazione legata agli eventi traumatici.
Se proviamo a mettere in comune i nostri limiti, ma anche le nostre risorse, possiamo costruire un sistema in cui tutti possono avvantaggiarsi, senza andare a cercare il primo della classe (alunno, insegnante o genitore che sia) che in realtà non esiste, perché può essere primo in qualcosa, ma sicuramente secondo, terzo, ultimo in qualcos’altro. Condividere con tutti le proprie risorse e renderle fruibili ai colleghi, alle classi dei colleghi, ai genitori; ristrutturare la didattica stessa puntando sul far emergere prima ancora che negli alunni, le potenzialità di ogni docente, così che ognuno possa tamponare le fragilità dell’altro in un’ottica di reciprocità, avvalendosi dei supporti esterni, che le famiglie hanno da dare, poiché ormai nella didattica sono state coinvolte dallo stato di necessità.
Come sarebbe potuto essere se avessimo avuto già costruita questa rete? Qualche esempio a braccio per dare un’idea più concreta del senso della parola “rete”:
- Un docente o un genitore mette un’idea per la strutturazione di una didattica a distanza e un altro docente o genitore con competenze informatiche la rende possibile.
- Un docente o un genitore, competente in un’area tematica, crea del materiale che viene diffuso e reso disponibile a tutti i docenti e i genitori della scuola e che quindi viene diffuso trasversalmente.
- Un docente o un genitore esperto nel campo organizzativo fornisce delle linee guida utili per capire come strutturare i contatti coi bambini, ad es. i materiali si inseriscono sempre tutti i lunedì e sono da rispedire tutti i sabati; i compiti vengono assegnati con una cadenza giornaliera per aiutare i genitori a strutturare il lavoro; si organizzano gruppetti per video lezioni con gli insegnanti; ma anche gli insegnanti forniscono giorni e orari per gruppi di studio, mettendo insieme i bambini in base alle loro competenze, così che possano supportarsi fra loro.
Se applicheremo quest’ottica riflessiva, che parte dalla fragilità e la trasforma in un punto di partenza per la ristrutturazione e non in qualcosa da nascondere, potremo riemergere dal pantano di solitudine attuale, creando un clima accogliente per tutti coloro che vivono nella scuola.
Chiedendo aiuto e sostegno, riconoscendo, senza andare nel giudizio, le mancanze che abbiamo avuto e facendo sentire la nostra voce a chi detta le linee guida, la Scuola potrebbe agire davvero come comunità e dare un esempio virtuoso anche alle altre realtà sociali.
Foto di Alessandro Chiabra