Regia: Todd Phillips
Perché guardare il film? (a cura di Chiara Giudici)
Perché è un film leggibile a diversi livelli, in cui oltre allo sviluppo psicologico del personaggio e il background sociale, troviamo il Joker delle carte, quello che scombina tutti i piani di lettura precedenti e rende possibile ciò che era impossibile. Quando è in pista il Joker non è più chiaro nulla e la realtà si svela in tutta la sua fragilità: chi può dire, dopo aver visto questo film, chi sia buono e chi cattivo? Chi sia pazzo e chi non lo sia? Cosa sia giusto e cosa sia sbagliato?
Tutto diventa relativo nel Caos che Joker rappresenta e gli opposti si manifestano nel loro legame, mostrando, in una delle ultime scene, come la nascita dell’Alter Ego (il futuro Batman) emerga da un terreno non così dissimile da quella che ha originato Joker.
Da un punto di vista psicologico Arthur è l’emblema di una persona a cui è stato negato il diritto di esistere, è confuso e sopraffatto dalla realtà che lo investe in modo selvaggio, violento.
La madre nega il suo diritto di esistere non solo perché non l’ha protetto dalla violenza fisica dei suoi partners, ma ancor più per avergli chiesto di reprimere le sue reazioni: “metti su una faccia felice“, “sei nato per portare il sorriso“. Una maschera che ha dentro un comando genitoriale che gli vieta di esprimere il suo sentire rispetto agli orrori che subisce e di cui la risata in contrappunto è una magnifica manifestazione: lui ride, fuori tempo, ma il suo riso sembra un pianto disperato, per diversi secondi lo spettatore non comprende se stia ridendo o singhiozzando.
Nella prima parte del film Arthur cerca di capire quale sia la realtà e quale la fantasia, le confonde e ne parla con la referente del servizio sociale. Le sue fantasie tengono viva la speranza che la sua maschera sorridente rappresenta: la speranza di essere visto, amato, applaudito.
Il film ci presenta una lenta evoluzione in cui, da questa partenza caotica, Arthur trova lentamente la realtà incappando nell’omicidio, che inizialmente è per difesa, ma che poi velocemente porta fuori la parte che si sente potente, che ha sete di vendetta per tutti i torti subiti. L’altro forte momento di realtà è quando Arthur trova la cartella clinica della madre e scopre la verità sul suo passato, in quell’istante, a mio avviso, Arthur muore e prende posto Joker.
Non un briciolo di senso di colpa neppure nell’uccidere la madre, che Arthur aveva accudito con tanta pazienza, quando era ancora vittima del suo inganno.
Da qui in avanti la ricerca narcisistica del potere prende il via: “Per tutta la vita non ho mai saputo se esistevo veramente. Ma esisto e le persone cominciano a notarlo“.
Non c’è più pietà, sebbene risparmi il nano, che era stato gentile con lui, lo spaventa volontariamente e lo umilia, costringendolo a farsi aprire la porta… una raccapricciante rappresentazione del gusto sadico del sentire il potere.
Epilogo l’omicidio in diretta, in cui Joker uccide quello che era stato il fantasticato mentore di Arthur, ormai spogliato delle sue beltà e visto in tutta la sua crudeltà.
Socialmente il film può essere preso come un monito: c’è un aspetto di critica al mondo in cui viviamo, ai sistemi capitalistici, che vivono sulle fatiche della gente comune, che umiliano, manipolano e tengono nell’ignoranza (conseguenza anche del forte impoverimento della scuola, politicamente voluto da decenni).
La violenza di chi è al potere è sottile, indiretta, perché sfrutta le masse in modo nascosto, ma è destinata a generare un altro tipo di violenza, facilmente strumentalizzabile, più fisica e veloce, meno “pensata”.
Trama:
Arthur Fleck vive con l’anziana madre in un palazzone fatiscente e sbarca il lunario facendo pubblicità per la strada travestito da clown, in attesa di avere il giusto materiale per realizzare il desiderio di fare il comico. La sua vita, però, è una tragedia: ignorato, calpestato, bullizzato, preso in giro da da chiunque, ha sviluppato un tic nervoso che lo fa ridere a sproposito incontrollabilmente, rendendolo inquietante e allontanando ulteriormente da lui ogni possibile relazione sociale. Ma un giorno Arthur non ce la fa più e reagisce violentemente, pistola alla mano. Mentre la polizia di Gotham City dà la caccia al clown killer, la popolazione lo elegge a eroe metropolitano, simbolo della rivolta degli oppressi contro l’arroganza dei ricchi.
Si presenta con una carta, il Fleck di Todd Phillips, ma non è una carta da gioco: è il documento di una malattia mentale, che lo rende un emarginato, un rifiuto della società, come ci dice la prima sequenza del film, sovrapponendo al suo volto la cronaca di una città allo sbando, sommersa dalla spazzatura fisica e metaforica.
Primo stand-alone sul più famoso villain della DC Comics, il film di Todd Phillips esplora dunque la nascita di un mostro prodotto dalla società stessa, creato e nutrito da illusioni e delusioni, maltrattamenti fisici e psichici, nell’epoca che mescola spettacolo pubblico e degrado morale.
Ambientata nei primi anni ’80, l’origin story diretta, prodotta e co-scritta da Phillips colma i vuoti strategici lasciati nel passato del personaggio, mescolando le indicazioni di Alan Moore e Brian Bolland con la cronaca vera americana e con l’omaggio al cinema coevo di Scorsese, Re per una notte e Taxi Driver in particolare. Parallelamente alla costruzione narrativa della maschera di Joker, siamo invitati ad assistere alla costruzione interpretativa del personaggio che Joaquin Phoenix compie sotto i nostri occhi, trasformandosi fisicamente in altro da sé, aggiungendo energia man mano che perde peso, liberandosi progressivamente dal diktat del sorriso socialmente conveniente (“It’s so hard to be Happy all the time”) per riscrivere radicalmente e alla propria maniera le regole della commedia della vita. (Tratto da My Movies)
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