Autore: Irvin D. Yalom
Editore: Neri Pozza (2008)
Perché leggere il libro? (di Chiara Giudici)
Ho conosciuto Yalom attraverso la raccolta di casi clinici Guarire d’amore, mi ha incuriosito il suo approccio relazionale, schietto e onesto. Poi sono incappata in un suo romanzo: La cura Schopenhauer e ho divorato tutti gli altri suoi testi di narrativa e saggistica.
Consiglio Diventare se stessi, ultimo libro e sua autobiografia, perché la sensazione che ho avuto nel leggerla è stata quella di essere nel suo salotto a discorrere amabilmente con lui di quello che è stato il suo percorso di vita.
Non senza un po’ di imbarazzo, in questo libro Yalom si svela come uomo: nel raccontare la storia della sua vita non nasconde le sue fragilità ed esplicita i suoi pensieri e dubbi su se stesso, ci presenta tematiche esistenziali, affrontandole in modo personale: il senso della vita, dell’invecchiare, gli effetti del successo. Nella clinica, il suo modello di lavoro con pazienti e gruppi si è centrato sull’utilizzo di un atteggiamento senza veli, che non nasconde le debolezze e i limiti del terapeuta, ma li usa come risorsa di crescita reciproca. Anche la sua autobiografia mantiene questa caratteristica, rendendo il testo umano e vicino all’esperienza di qualunque altro terapeuta.
Sono grata a questo autore per la condivisione generosa del suo lavoro e di se stesso: mi ha dato spunti preziosi che hanno arricchito molto il lavoro su me stessa e quello con i miei pazienti e con i gruppi.
Mi sono riconosciuta spesso nelle sue pagine e vi ho trovato strategie e scelte personali e lavorative, che mi sono scoperta ad intraprendere in modo simile. Sebbene io venga da un orientamento differente, centrato sul corpo, sento Yalom come l’altro padre fondatore del mio modo di fare terapia.
Quarto di copertina:
Nel pantheon degli scrittori di Irvin Yalom, un posto di primo piano spetta a Charles Dickens, alle cui opere gli capita spesso di ritornare. Rileggendo di recente Storia di due città dello scrittore inglese, l’autore delle Lacrime di Nietzsche si è imbattuto in una frase che costituisce un perfetto esergo di questo libro: «Poiché, quanto più m’avvicino alla fine, viaggio come in circolo e m’avvicino sempre più al principio. Mi pare che la via si spiani e si faccia più agevole. Il mio cuore è adesso commosso da molte memorie che a lungo erano rimaste sopite…».
Sorte dalla commozione dei ricordi che, inesorabili, riaffiorano quando lo scorrere del tempo spinge a riconsiderare la propria storia e il proprio passato, le pagine che seguono spianano per il lettore la via più agevole per accostarsi alla vita e all’opera di Irvin Yalom.
Dall’arrivo a Ellis Island dei suoi genitori, ebrei emigrati dalla Russia in America senza un soldo, senza un’istruzione, senza sapere una parola d’inglese, all’infanzia trascorsa a scansare gli ubriachi che dormivano nell’atrio di casa, tra scarafaggi e ratti; dalla prima adolescenza vissuta in solitudine, sempre fuori posto, unico bambino bianco in un quartiere abitato da neri, unico ebreo in un mondo di cristiani («ebreuccio» lo chiamava il barbiere dalla faccia paonazza), all’incontro a soli quindici anni con Marilyn, destinata a diventare moglie, mentore e poi inseparabile compagna di vita che troverà «spassoso» il suo essere esperto nella terapia di gruppo; dalla memorabile conversazione avuta a vent’anni con suo padre, segnata dalla domanda: «Dopo la Shoah, com’è possibile che chiunque creda in Dio?», alla decisione di diventare medico, passando dagli anni travagliati dell’università fino al praticantato in psichiatria e alla scoperta della propria autentica vocazione, Yalom non tralascia alcun aspetto del lungo cammino che lo ha condotto a diventare uno dei più affermati psichiatri e autori del nostro tempo, mostrando, ad un tempo, come il compito ineludibile di diventare se stessi sia ciò che caratterizza la nostra esistenza.
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